Conserva i tuoi spigoli, non smussarti troppo. Non scomparire per fare prima.
Nell’imitazione di un modello vincente risiede un pericolo sottovalutato: snaturare se stessi. L’altro, il modello, di solito è tale perché offre al prossimo i suoi spigoli: dapprima respinto, rigettato per via dell’attrito che costa a chi lo incrocia, li afferma per tenacia. Fa un solco nel mondo.
Imitarlo, però, è già smussarsi. Ogni biografia ne scolpisce di unici, di spigoli, e cercare di fare nostri quelli altrui ci porta solo a levigare quelli che abbiamo senza crescerne di nuovi (non abbiamo vissuto la vita del nostro modello, non abbiamo la sua esperienza ma solo la nostra).
L’omologazione è la perdita dei nostri tratti, l’oblio della nostra storia: abbiamo paura di essere rigettati e ritocchiamo i nostri lineamenti sperando di piacere (ma, al massimo, passeremo inosservati). Ci mimetizziamo per accedere al mondo autorizzato del già visto, del già accettato, del non più traumatico. Essere come gli altri per essere dove sono gli altri, nel mondo che ha il permesso di esistere - ma di nascosto, sotto mentite spoglie.
Il nostro modello, però, che ci punge con i suoi spigoli, che non ci lascia stare con il suo esempio, non è passato inosservato: si è messo un punto esclamativo addosso, ha fatto scattare l’allarme.
Qualcosa di irriducibile ci abita: quello che siamo stati. Di quel che sono stati gli altri abbiamo una vaga idea, una vana ipotesi: i panni altrui non calzano mai.
Quel destino radioso, forse, non è il nostro. Quelle fortune, forse, non ci toccheranno.
Almeno, però, venire allo scoperto. Almeno, palesarsi in tempo. Pungere il mondo e poter dire: quel solco, lo vedi?, è l’impronta che lascio. La prova che non mi sono nascosto.
Il resto, non sta a noi.
(questo articolo è il testo del video qui sopra, che ho pubblicato su WesaChannel il 4 aprile 2020)