Da una parte la blatta, il topo, lo squalo; dall'altra il linguaggio con il pollice opponibile.
Concetto cardine della teoria dell'evoluzione è che sopravvive il più adatto, ossia colui che riesce a vivere sino a riprodursi (sopravvive a se stesso attraverso i caratteri che trasferisce alla sua discendenza, sopravvivono le sue istruzioni nell’alveo della specie - lui muore). Questo implica che i caratteri vengono selezionati per esclusione: ciò che impedisce la riproduzione non si tramanda.
L'evoluzionismo è tautologico: ciò che non si riproduce, non si riproduce.
Da questo consegue che ciò che non impedisce la riproduzione si ripete, quindi non c'è nessuna selezione in positivo dei caratteri propiziatori la riproduzione, solo una in negativo di quelli che la impediscono. Questo significa che una moltitudine di caratteri possono trasmettersi nel tempo senza essere in nessun modo "utili" o "vincenti", semplicemente non sono stati abbastanza penalizzanti da impedire alla specie di replicarsi.
Molti organismi presentano caratteri del tutto superflui, spesso residuali, che non hanno alcuna funzione, che a volte sono solo di impiccio ma che, non inficiando un florido copulare, verrano ancora ereditati.
Non solo, le mutazioni genetiche, la cui continua insorgenza garantisce la possibilità di adattarsi al mutare delle condizioni ambientali (normale e patologico sono, in natura, adattivo e non adattivo) possono benissimo generare "handicap" inediti che, come chiarito, sinché non ci rendono sterili a livello della specie possono dilagare e prendere piede senza rappresentare necessariamente un vantaggio, una "evoluzione" nell'accezione volgare del termine (è volgare pensare che stiamo andando da qualche parte).
La blatta, il topo, lo squalo sono specie infinitamente più longeve e meglio adattate della nostra, forse perché più "essenziali", dotate di una maggiore simbiosi tra la forma e la funzione. E' dubbio invece se la complessità del nostro cervello, foriera di quel linguaggio che ci caratterizza sino a consentirci una cultura prima orale e poi scritta (così armando lo strumento del pollice opponibile), sia o meno una caratteristica vincente. Lo si potrà giudicare tra qualche milione di anni, ora è troppo presto, per quanto ne sappiamo potrebbero anche essere, la cultura, il linguaggio, la scrittura, la tecnologia, delle disfunzioni che non hanno ancora dischiuso tutte le loro potenzialità. Di sicuro sappiamo che abbiamo già, volendo, il potere di estinguerci con le nostre stesse mani, mentre dubito fortemente che tutti i nostri megatoni potrebbero mai debellare l'inossidabile blatta o il fecondissimo topo.
La nostra coscienza ci ha incuneato dentro la Storia, che osserviamo con il microscopio dei secoli, delle decadi, dei giorni. Uno squalo invece, proprio adesso, sta fendendo gli oceani irresponsabile, scevro di questo immane fardello, come ha sempre fatto. Mentre reagisce agli stimoli che lo direzionano partecipa a un mantra, una tradizione di centinaia di milioni di anni, una fissità, una ritualità che le nostre chiese sognerebbero. Nel gesto essenziale della caccia al sangue, alla eco elettrica delle vite altrui attraverso gli abissi, riverbera una eternità che noi umani abbiamo disconosciuto. Una emancipazione impegnativa, la nostra, con tutte le vicende e le elucubrazioni a farci da attrito attraverso epoche subitanee, battiti di ciglia che attraversiamo deflagrando e sbattendo dappertutto. Saremo dèi o la bolla di un'altra estinzione? Abbiamo preso le redini o ci siamo persi il filo? Quando si potrà dirlo avremo forse trovato anche noi una sintesi, semplice come un rituale.
(revisione di un post pubblicato nel marzo del 2013 sul primo Opinabile)